Quando Howard Carter entrò per la prima volta nella tomba di Tutankhamon restò letteralmente a bocca aperta; nessuno aveva mai trovato prima di allora una tomba faraonica intatta (quasi n.d.r.). L’abbondanza degli oggetti lasciò tutti stupefatti e allo stesso tempo preoccupati per come dovevano affrontare dal punto di vista scientifico una situazione di questo tipo.

Il primo grosso problema fu il consolidamento degli oggetti, poiché il cambio di umidità e temperatura rischiava di danneggiare seriamente soprattutto i manufatti di legno. Un altro aspetto da considerare fu la catalogazione, un passaggio che si rivelò molto complesso vista la quantità di materiale rinvenuto.

Ma l’ostacolo più grande si rivelò senza dubbio l’imballaggio e il trasporto degli oggetti al Cairo. Ogni singolo reperto fu avvolto nel cotone e deposto nelle casse; i manufatti più delicati furono fasciati molto stretti in modo tale che non potessero muoversi durante il trasporto. Gli oggetti più fragili, come i bouquet funerari e i sandali di giunco, furono imballati e deposti su uno strato di crusca. I reperti vennero organizzati in gruppi a seconda della tipologia, in modo tale da facilitare la loro ricerca durante la fase di studio in laboratorio.

Per avere un’idea del lavoro svolto, basti pensare che servirono 89 casse solo per gli oggetti estratti dall’Anticamera!

Risolto il problema dell’imballaggio si presentò quello del trasporto. Per il tragitto dalla Valle dei Re al Cairo il Servizio delle Antichità aveva messo a disposizione una chiatta a vapore, ma il problema era il trasporto dal laboratorio, la tomba di Sethi I, al fiume. Le opzioni a disposizione erano tre: cammelli, portatori, ferrovia. La scelta ricadde sulla ferrovia, con la speranza che le casse subissero meno scosse durante il percorso.

La distanza da coprire era di circa otto chilometri, ma il problema era che in realtà la ferrovia non esisteva! Le casse furono così caricate sui carrelli e prima di avviare il convoglio gli uomini della squadra posizionarono i primi binari. Man mano che il convoglio avanzava, gli operai smontavano le rotaie rimaste indietro e le portavano avanti attraverso una catena di uomini. Furono necessari circa 50 uomini, ognuno con un compito ben preciso: chi spingeva i carrelli, chi smontava le rotaie, chi le trasportava e chi rimontava più avanti.

Sono certo che fatichiamo a comprendere un lavoro del genere, ma ci sembrerà ancora più assurdo se pensiamo che fu svolto con una temperatura di 40 gradi all’ombra (le rotaie scottavano n.d.r.), su un percorso pieno di curve e pendenze pericolose. Il lavoro si svolse però senza intoppi, e in “sole” 15 ore di lavoro il convoglio raggiunse il fiume, dove le casse furono trasferite sulla chiatta per raggiungere finalmente Il Cairo.